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Concabala

Nel maggio 1987 viene pubblicato a Milano, in edizione Scheiwiller “all’Insegna del Pesce d’Oro” il poema in dodici mila versi suddivisi in  44 canti il poema Concabala. “Concabala” e un titolo che allude a una cabala contenuta nella struttura del libro e in alcuni capitoli di esso (Con Cabala). Vien descritta la “vita” sottomarina dei Bronzi durante i secoli in cui essi furono in fondo al mare di Riace. È in sostanza la seconda parte del poema del 1982, che rappresentava il “Viaggio” in terra e per mare, mentre adesso questa seconda parte che reca il sottotilo di ES- TOPOI (luoghi dell’Es) è tutta ambientata in fondo al mare.

Da La Sicilia del 10 luglio 1987: “(…) La finzione letteraria è un meccanismo semiotico: un ‘gioco serio’: un ludo, dentro il quale Saussure scoprì trame anagrammatiche. Più di recente Lotman, in linea con gli ‘insieme infiniti’ della bi-logica di Matte Blanco (anche se per vie diverse), ha rivelato le costruzioni enantiomorfe (o formazioni palindromiche) proprie di certe scritture letterarie nelle quali le simmetrie e le asimmetrie speculari ridisegnano un testo dentro il testo. Si prenda, a caso, il secondo canto di Concabala di Mario Grasso. La parola ‘gori’ in 22 fin di verso, finge di rimare (per assonanza) con ‘Rodi’. In effetti spiazza il lettore e desautomatizza la lettura, richiamando ‘mediatori’ per via di rimalmezzo. L’assonanza diventa più sottile (e sottilmente lotmaniana) là dove ‘sole’ pretende di consuonare con ‘accolse’: in fin di verso. Si tratta però di una ‘menzogna’ da simmetria speculare, palindromica: da formazione enantiomorfa. Perché l’accento batte e separa in ‘accolse’, un ‘olse’ che è anagramma di quel ‘sole’ che – richiamato dall’assonanza – così si dissimula: strutturando un nuovo testo (o significanza) dentro il testo palese (o significato).È un’opera, Concabala, che piacerebbe a Lotman. Il grande semiologo russo troverebbe in essa la riprova del suo geniale metodo. Basterebbe che egli inseguisse nei versi di Mario Grasso la callida perizia tecnica, le morgane della specularità ritmica; la sinfonia sottile che in sottofondo (dissimulatamente) ristruttura il testo verso un altro testo suggerito per fascinazione ritmica ed evocato per magia di linguaggio.” Salvatore S. Nigro 

Da Panorama del 26 luglio 1987: “(…) un grande slargo, stupefacente e mirabile il poema di circa diecimila versi che Mario Grasso ha portato a termine dopo anni di lavoro e di inquietudini, Concabala. Dai Bronzi di Riace della Magnagrecia fino alla strage di piazza Fontana a Milano, vi si interroga il gran libro del Destino letto dalla parte delle vittime, non dei vincitori. Un’impresa d’altri tempi che merita la nostra più viva attenzione (…)”. Antonio Porta

 Da L’Unità del 7 ottobre 1987: “(…) Mario Grasso, noto per l’intensa attività culturale che svolge in Sicilia, autore di vari libri in prosa e in versi, ha affrontato la durissima fatica del poema lavorando accanitamente attorno a un progetto certo molto ambizioso e rischioso, Concabala, che è uscito quest’anno, aveva avuto precedenti anticipazioni: una parte ne era apparsa cinque anni fa, un successivo assaggio era stato offerto nell’ultimo numero nell’Almanacco dello Specchio mondadoriano (…) Il merito decisivo è nel linguaggio che è al tempo stesso di temperatura elevata e nettamente sperimentale; impervio, screziato, inquieto. Grasso è inoltre robustamente legato alle radici della sua terra tanto che utilizza, nel tessuto di un racconto che tende spesso al magico, al visionario, al sapienziale, materiali mutuati dal dialetto, o anche passa con forza, ulteriormente aprendosi, al canto dialettale. Ed è appunto nel carattere del linguaggio che l’intera operazione si risolve.” Maurizio Cucchi 

Dal Corriere della Sera del 14 agosto 1988: “(…) Concabala è il racconto immaginario, prima per bocca dell’una, poi dell’altra Statua, Rando e Plio, delle vicende di quei simulacri attraverso i secoli e gli spazi, sul mare e sotto di esso, fino ai nostri giorni. La bipartizione materiale del libro sotto le etichette de ‘Il viaggio’ e di ‘Es-topoi’, introduce un dato significativo, quello della dicotomia. Così, alla coppia dei locutori si aggancia tutta una catena di coppie formate da elementi opposti e complementari: viaggio/stasi, mondo emerso/mondo sommerso, passato/presente, storia/mito, lingua/dialetto (ma qui, si vedrà, la questione è più complessa). Le componenti di coppia e le coppie fra loro sono tuttavia circuitate, dirò così da una forza o intenzione che le salda secondo un disegno unitario – lo indica lo stesso titolo, dove la preposizione con (‘concabala’) denuncerà un comporsi solidale dei raggiri, degli errori, ma anche dei simboli: “alzati, allunga il passo, / sulla polvere / c’è l’orma, c’è la cabala trascritta. / È solo un libro la tua dea-fortuna / leggilo, / in te raccolte sono le sue pagine” (…)” Giuliano Gramigna

 Da Molloy (Firenze), n°5, ottobre-dicembre 1989: “(…) Il mito visto quale conoscenza archetipica non abbisognevole di esegesi, o anche come racconto, favola o ariostesca opera aperta, è ben lontano dal poema di Mario Grasso, autore certo più vicino a Pirandello che ad Ariosto, anche se a quest’ultimo non indifferente: poema Concabala, a proposito del quale non si dovrebbe parlare di opera aperta ma di un’allegoria ben definita, al pari del teorema intercalato nei versi (allora opera in un certo senso chiusa nel suo imperniarsi su due referenti, gli eroi di Riace che, in balìa delle vicende della storia – questa nemica dell’uomo –, diventano pupi pirandelliani, allegorie di uomini che, ridotti a statue impotenti – a pupi –, si trovano ‘gettati’ in una storia che, è, sempre, storia di crisi, tautologia e circuito chiuso, mostruosità.

Lontano dalla ‘coscienza infelice’ romantica che vorrebbe far passare l’esperienza della poesia attraverso l’asseverativo codice mitologico, Mario Grasso, poeta non mitografico, scarta dalla primordialità orale del mito con un continuo variare semantico, inventando ingegnosi, sempre anticonformistici e decodificanti percorsi della parola, giustificati da una tipologia fonetica assolutamente inusuale e da una sperimentazione conoscitiva di conio barocco (…)”. Stefano Lanuzza

 

Da Il Messaggero (Roma), 14 novembre 1988: “(…) Su Mario Grasso occorrerebbe aprire un capitolo a sé stante della letteratura, che ha visto in questi anni i trionfi di narratori quali D’Arrigo, Bufalino, Consolo; senza dimenticarci di uno scrittore appartato ma geniale come Giuseppe Bonaviri, e del compianto Angelo Fiore che ci ha lasciato romanzi indimenticabili. Perché Grasso appare così dissimile dai suoi colleghi ora menzionati? La risposta sarebbe piuttosto facile se ci fermassimo all’aspetto beffardo, irriverente, della sua scrittura polimorfe, che già una volta chi scrive ebbe occasione di avvicinare a quella di un Savinio o di uno Zavattini, per le assimetrie ricercate nel giuoco della narrazione e il gusto dissacrante e qualche volta apocalittico dell’invenzione fantastica. L’occasione era stata fornita da romanzi e raccolte di racconti (Il gufo reale, Le Vestali di Samarcanda) miscugli verbali di saggezza e follìa siciliana che si allontanano come galassie dalla tradizione verghiana e del verismo provinciale. Ma Grasso non è solo il poeta delle ‘riuscite’ funambolice; la sua musa dall’intonazione beffarda pronta a cogliere l’origine in uno sgomento tellurico e non sociale. Adesso Grasso aggiunge un’opera maggiore Concabala edita da Scheiwiller. (…) A misura che la trama prende consistenza nelle due sezioni ‘Il Viaggio’ e ‘Es-topoi’ assume e insieme esige l’idea di una catastrofica allegoria della vita attuale che si spende nella ricerca del possibile tecnologico e nell’incertezza totale che  non cessa di avvolgerla, Quel viaggio che Grasso racconta dei due Guerrieri (sono essi i Bronzi di Riace?) partiti dalle sponde della Grecia per approdare in lidi sempre diversi e talvolta ostili, guidati dall’infallibile istinto della sopravvivenza, al di là del tempo e dello spazio, rappresenta il nostro medesimo travaglio di toccare un futuro che non sarà mai tranquillo. Mostri, sirene, ermetiche torpedini, che incalzano da ogni parte l’avventura delle Statue, perché esse prendano una direzione imperfetta, nel fascinoso tormento del dove? apparengono al nostro inconscio popolato di seducenti, orribili inganni (…)” Giacinto Spagnoletti

 Da Il Cristallo (rivista letteraria), Bolzano 1988: “(…) Concabala è il primo grande poema marino della nostra letteratura, unico, anzi, nel suo genere. Anche al di là della sua grande forza linguistica. Mario Grasso ha inventato il suo ‘mare’ come c’è un mare di Melville, di Conrad, di Stevenson, di De Foe o di Coleridge, di Hemingway o di Baudelaire, c’è ora, in Italia, per la prima volta (in poesia, tenendo presente l’Horcynus Orca di Stefano D’Arrigo come altro mostro letterario, in prosa) un mare tutto di Mario Grasso, tutto suo, originalissimo. Da noi non era mai accaduto che uno, un poeta, vi guardasse dentro con tanta lucida chiarezza, con tanta vertiginosa ricchezza di motivi e di figurazioni come dentro il cuore mutevole del mondo (…)”. Angelo Mundula

 

Bibliografia della critica per Concabala 
  • Giovanni Raboni, Mario Grasso, Tra Sole e Luna, Almanacco dello Specchio n°12, Mondadori, 1986.
  • Oxana Pachlovska, Il poema dei Bronzi di Riace: una metafora dell’uomo contemporaneo, La Sicilia, 10/06/1987.
  • Salvatore Nigro. La magia evocativa della parola, ibidem.
  • Nicolò Mineo, Il senso ulteriore, ibidem.
  • Antonio Di Grado, La doppia sfida di un moderno aedo, ibidem.
  • Antonio Porta, Viaggio nella poesia, Panorama n°1110, 26/07/1987.
  • Giancarlo Pandini, Tremila anni dopo tra passato, presente e futuro, Punto d’Incontro n°4-7, giugno/settembre 1987.
  • Turi Caggegi, Cruise e mafia con fantasia, Ondasette, anno III, n°29, 26/07/1987.
  • Maurizio Cucchi, Un’impresa con lingua e pazienza, L’Unità, 07/10/1987.
  • Dino Azzalin, Sculture in versi d’un vero artista, La Prealpina, 22/10/1987.
  • Turi Caggegi, Concabala, allegoria dell’attualità, Cronache Parlamentari, anno IV, n°9, ottobre 1987.
  • Giuseppe Quatriglio, Diecimila versi sotto il mare, Giornale di Sicilia, 01/12/1987.
  • Giuseppe Tedeschi, E’ il grande ritorno della poesia, Il Popolo, 01/12/1987.
  • Dante Maffia, La Concabala, Il Cittadino, 19/12/1987.
  • Dante Maffia, Un mostro nella pianura, (intervista a Mario Grasso), Il Policordo, anno VII, nuova serie, n°!, gennaio/aprile 1988.
  • Mario Baudino, In diecimila versi il mistero dei Bronzi di Riace, La Stampa-Tuttolibri, 19/03/1988.
  • Guido Zavanone, La sfida al tempo in Concabala, Resine, nuova serie n°36, aprile/giugno 1988.
  • Giuseppe Amoroso, Dalla metafora al Marfondo, Gazzetta del Sud, 23/08/1988.
  • Giuliano Gramigna, I due Guerrieri si raccontano, Corriere della Sera, 14/08/1988.
  • Fabio Doplicher, Il mondo dei poeti (rubrica), Rai Uno, (ore 21), 19/10/1988.
  • Angelo Mundula, Concabala, Il Cristallo, 1988.
  • Giacinto Spagnoletti, Gli inganni delle Sirene, Il Messaggero, 14/11/1988.
  • Marisa Strada, Concabala di M. Grasso, Otto/Novecento, anno XIII, n°1, gennaio/febbraio 1989.
  • Renato Bertacchini, Guerrieri nell’abisso, Rassegna di Cultura e Vita Scolastica n°1-2, gennaio/febbraio 1989.
  • Amalia Mannino, Concabala, moderno poema, La Sicilia, 21/02/1989.
  • Giovanna Joli, Concabala, Prometeo, anno IX, n°35, luglio/settembre 1989.
  • Rocco Giudice, La metafora intendi: Concabala, Pagine dal Sud, anno V, n°5-6, novembre/dicembre 1989.