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I sette Arcieri di Bajamazol

Nel dicembre 1978, con le edizione di Lunarionuovo viene pubblicata una Commedia in tre atti con intermezzo, intitolata “I Sette Arcieri di Bajamazol” (Alla quale viene assegnata segnalazione al Premio Vallecorsi per un’opera teatrale) nella quale viene svolta una trama satirica che mostra le rocambolesche macchinazioni di un personaggio che, forte del potentato secolare del casato di cui è rampollo, pretende che la chiesa locale, e, per essa, il vescovo di quella diocesi, lo proponga per la beatificazione in vita. Tra le trovate esilaranti che vengono proposte dal coro nell’intermezzo c’è il progetto di spegnere l’Etna con un sistema che introduca nel vulcano l’acqua del mare, per scongiurare per sempre  i pericoli delle ricorrenti eruzioni.

 Da La Sicilia (Catania) del 03 / 03 / 1979: “Un’infinità di volte si è rimpianta l’inesistenza, in Italia, di una letteratura satirica o parodica, capace di rappresentare per ironia o per beffa l’enormità e la continuità dello scandalo politico e morale che è la nostra vita pubblica e anche tanta parte della nostra società e anche di dirne gli aspetti miserabili e volgari che fingono grandezza e valore, e quello stato perenne di farsa che, tuttavia, a tratti, si risolve in tragedia. I sette Arcieri di Bajamazol di Mario Grasso vengono a riempire, ora, questo vuoto. È un’azione scenica affidata al dialogo nei due primi tempi, al gesto nel terzo tempo, che ha come tema la complicità inevitabile che si instaura tra i poteri, civile, politico, intellettuale, ecclesiastico, nell’oppressione ideologica e nella violenza indirizzate a far sì che i padroni, nella società, rimangano sempre gli stessi, per mutamenti e trasformazioni che avvengano alla superficie e per secoli o decenni che passino.Lo spunto è dato da una trovata grandiosa, degna di un satirico sommo: il progetto, studiato ed elaborato da un apposito comitato, di spegnere l’Etna, rovesciando nel cratere, per mezzo di un sistema di tubi, l’acqua del mare. La vicenda è ambientata in una città della Sicilia, ovviamente molto vicina all’Etna: ma mai come in questo caso si può tranquillamente dire che, sì, è la Sicilia, ma potrebbe essere benissimo qualsiasi altra regione.

Capo del comitato è il professor Fumicò, di nobile e antichissima famiglia, che concentra in sé l’intero potere intellettuale della città, mentre il barone Faranda, di non meno nobile e potente famiglia, pretende di raccogliere in sé il potere religioso, raccontando di essere in colloquio quotidiano con la Madonna, andando in giro con aureola intorno alla testa, illuminata da un sistema di tubi col neon, ed esigendo di assistere alla Messa, la domenica, in duomo, in piedi in una nicchia sopra l’altare e di elargire indulgenze a chiunque lo veda mentre attraversa la strada.

Intorno ai due padroni della città ruotano le autorità politiche, amministrative e religiose: il debole e pauroso sindaco, poi l’onorevole Magnese, che compie ogni genere di prepotenze e di falsificazioni della verità in nome dell’arbitrio di far legge dei suoi interessi e della sua volontà che egli si arroga per il fatto solo di essere stato eletto nel partito di governo. Infine un servile canonico, Briguglio (…)”. Giorgio  Bàrberi Squarotti

 

Da Il Commercio (Catania), 1 maggio 1981: “(…) Questa commedia divertissement molto serio di Mario Grasso, I sette Arcieri di Bajamazol, ci mostra con toni giocosi, pigmentati di trovate anche linguistiche, un groviglio di ambizioni e interessi che in un paese della Sicilia si imperniano su un progetto pazzesco: spegnere l’Etna, convogliando nel cratere l’acqua del mare tramite un gigantesco sistema di elettropompe. Questa ‘macchina inutile’ alla Munari, quest’ipotesi assurda costituisce la trovata centrale, e naturalmente il pretesto, per far ruotare intorno al nocciolo dell’azione figure e figurine quanto mai emblematiche e alcune memorabili. Memorabile certo è quel visionario del barone Faranda che pretende di essere nominato subito in vita, beato e venerabile, con le stesse prerogative riservate ai santi, e porta un cappello di paglia circondato da un giro di luce al neon. Per ispirazione diretta della Vergine Maria riuscirà a prevedere con tanta precisione lo scoppio di un ordigno da insinuare più di un sospetto che l’espolosione sia piuttosto ispirazione e iniziativa sua propria. Ma se il barone è una riuscita caricatura (come del resto il professor Fumicò, presidente del Comitato, e l’ipocrita onorevole Magnese, tutti e tre demandati a rappresentare una certa follia e malcostume) altri personaggi, primo fra tutti il giovane Vescovo, affrontano con autentica e dolente saggezza certi spinosi nodi attuali: l’inerzia del potere, l’ipnosi televisiva, la mafia e il terrorismo colti molto bene nelle loro possibili radici e l’eterno problema del ripeness is all (una società di gente matura non ha bisogno di padrini). (…). Maria Luisa Spaziani

Da Messaggero Veneto del 18 marzo 1979: “Narratore, drammaturgo, saggista, pubblicista ben noto ai lettori di questo giornale per i suoi puntuali articoli di critica militante, il siciliano Mario Grasso ha al proprio attivo due romanzi, una silloge di racconti, una commedia e una vasta opera sulla letteratura degli esclusi, dal titolo Testi e Testimonianze. La sua folta e apprezzata produzione si è recentemente arricchita di un’opera in forma dialogata I sette Arcieri di Bajamazol. Attraverso le battute di questo singolare testo in tre tempi e un intermezzo, Grasso riesce a investire nella propria funzione di intellettuale e nella scrittura una carica di epicità che, a differenza di quanto accade spesso nelle opere teatrali, non si riduce a oratoria moralistica; più che di una pièce scenica dobbiamo tuttavia precisare che si tratta di un lungo racconto, denso di invenzioni e di metafore condotto con mano sciolta e abile. Al centro della vicenda imperniata su di un immaginario episodio dei nostri giorni è, con profonde risonanze nel tempo, sui mostri della corruzione e dei delitti di natura politica. Siamo in una piccola città della Sicilia, ma, cambiati i nomi e alcune connotazioni, questo ambiente si puà trovare dovunque, dove un Comitato sta per mettere in atto il costoso quanto iperbolico progetto di spegnere l’Etna (…)”. Antonio De Lorenzi 

 

 

Bibliografia della critica per I sette Arcieri di Bajamazol

  • Giuseppe Contarino, Sette virtù e sette vizi negli Arcieri, La Sicilia, 28/0!/1979.
  • Santi Bonaccorsi, I sette arcieri di Bajamazol, Catania Sera, 20/02/1979.
  • Salvatore Scalia, Nel libro di M. Grasso un messaggio di speranza, La Sicilia, 22/02/1979.
  • Giorgio Bàrberi Squarotti, Volevano spegnere l’Etna, La Sicilia, 03/03/1979.
  • Salvatore Scalia, Potere e cultura, Espresso Sera, 02/03/1979.
  • Antonio De Lorenzi, La palingenesi dopo il male, Messaggero Veneto, 18/03/1979.
  • Armando Patti, I sette Arcieri, Sintesi, maggio 1979.
  • Angelo Lippo, Una satira amara del nostro tempo, Corriere del Giorno, 06/06/1979.
  • Marco Neirotti, I sette Arcieri, La Stampa-Tuttolibri, 09/06/1979.
  • Giancarlo Pandini, I sette Arcieri, Corriere dell’Adda, 09/06/1979.
  • Claudio Toscani, I sette Arcieri, Gazzetta di Parma, 10/06/1979.
  • Salvatore Rossi, I sette Arcieri, Realtà del Mezzogiorno, agosto 1979.
  • Giancarlo Pandini, I sette Arcieri di Bajamazol, Gazzetta di Parma, 04/10/1979.
  • Alfonso Zaccaria, Gli Arcieri in Sicilia, La Provincia, 17/10/1979.
  • Giacinto Peluso, I sette Arcieri, Gabbiòla, novembre 1979.
  • Grazia Palmisano, I sette Arcieri, Il Piccolo, 16/11/1979.